L’organizzazione del lavoro è dannosa per i salariati? Risultati di un’inchiesta alla Posta svizzera
Nell’ambito di una tesi di master in socio-economia realizzata all’’Università di Ginevra, Nicola Cianferoni ha svolto un’inchiesta sulle cbndizioni di lavoro e la gestione delle assenze alla Posta svizzera, la quale sarà presentata il 23 gennaio 2010, in occasione della giornata di studio organizzata dall’Associazione per la difesa del servizio pubblico (ASP). La radiotelevisione della Svizzera italiana ha realizzato un servizio sul convegno ne Il Quotidiano (TSI, 23.02.2010). Il quindicinale Solidarietà ha invece colto l’occasione di porgli qualche domanda su un tema – la salute dei salariati – che fa sempre più discutere.
Qual è il tema della tua inchiesta?
L’inchiesta è stata effettuata presso un centro di distribuzione postale della svizzera romanda, nel quale lavorano all’incirca 340 impiegati, e si interessa soprattutto al lavoro dei postini. Lo scopo era di conoscere l’impatto delle ristrutturazioni sulla salute dei salariati e l’efficacia delle misure messe in atto dall’ex regia federale alfine di ridurre il rischio di malattie e incidenti. Le analisi si basano su cinque interviste effettuate con degli impiegati e su un questionario al quale hanno risposto 189 persone. La direzione della Posta ha collaborato alla ricerca rispettando tuttavia il suo carattere indipendente e universitario.
La quarta indagine europea sulle condizioni di lavoro (effettuata nel 2007) ha messo in evidenza un aumento generalizzato dell’intensità del lavoro. Lo stesso fenomeno è stato riscontrato nella tua inchiesta?
I dati empirici dell’inchiesta non sono certo sufficienti per trarre delle conclusioni in merito all’evoluzione dell’intensità del lavoro alla Posta negli ultimi anni, ma già di per se il lavoro dei postini è logorante: lo stress, la rapidità dei gesti, il peso da sollevare e l’esposizione alle intemperie sono il loro pane quotidiano. Secondo una testimonianza, il carico di lavoro sarebbe quasi raddoppiato rispetto agli anni 1980, cioè prima delle ristrutturazioni che daranno luogo alla dissoluzione delle PTT in due imprese distinte (La Poste e Swisscom) alla fine del 1997. Il lavoro sembra tuttavia più intenso rispetto ai dati della quarta indagine europea sulle condizioni di lavoro: il ritmo di lavoro è considerato rapido dal 46,4% dei postini, insostenibile dal 6,6% e normale solo per il 45,3%; mentre a livello europeo è situata al 26% la proporzione dei salariati che dichiara di lavorare a dei ritmi elevati per la maggior parte del tempo (dati del 2005). Nella distribuzione postale, il lavoro è stato organizzato in flusso teso secondo i principi del toyotismo applicati nell’industria a partire dagli anni 1970. Nessuna scorta è ammessa nella produzione ed ogni attività è cronometrata minuziosamente da uno scanner al fine di diminuire e di comprimere i tempi « improduttivi ». Il corriere deve essere distribuito imperativamente secondo i termini prescritti e ciò indipendentemente sia dalla forza lavoro disponibile che dagli imprevisti che possono turbare l’organizzazione. Il lavoro è dunque organizzato in modo tale da esercitare una pressione constante ed elevata sugli impiegati.
I ritmi di lavoro molto elevati comportano dei rischi per la salute degli impiegati della Posta?
Un ritmo di lavoro elevato non comporta necessariamente dei rischi più elevati per la salute perché i lavoratori possono sviluppare delle strategie di adattamento per sopportare un carico di lavoro più elevato. In determinate circostanze l’aumento dello stress può essere addirittura più stimolante. I rischi per la salute aumentano tuttavia per coloro che non riescono più a padroneggiare l’attività lavorativa in seguito alla riorganizzazione del lavoro. Ciò sembra essere il caso alla Posta. Infatti, se fino a qualche anno fa ad ogni fattorino era attribuito un percorso ben preciso per la distribuzione del corriere, ora ciascuno di loro deve prendere a carico una moltitudine di percorsi. Non lavorando più quotidianamente sullo stesso territorio, i postini faticano a sviluppare una conoscenza approfondita dei giri di distribuzione ai quali sono attribuiti e a organizzare efficacemente la loro attività lavorativa.
Come reagiscono i salariati all’aumento dei ritmi di lavoro?
Una pressione eccessiva può degradare la qualità del lavoro, nella misura in cui gli impiegati non avrebbero né il tempo né i mezzi per lavorare correttamente. Nella nostra inchiesta è stato riscontrato che questo fenomeno è presente. Il 24% del personale afferma aver già dovuto rinviare o trascurare la realizzazione di certi comptiti per finire a tempo il lavoro, mentre è molto diffuso il sentimento di non riuscire a soddisfare in modo conveniente l’utenza. Vi è pure un altro fenomeno molto preoccupante: il 64,8% dei salariati afferma aver già rinunciato (« passerà ») o rinviato (« aspetto ancora due o tre giorni ») una visita medica per paura di nuocere all’attività dei colleghi per via della loro assenza. Non si tratta di casi isolati perché al 29,8% degli intervistati è successo una volta durante gli ultimi dodici mesi, al 26,4% due volte e al 36,4% almeno tre volte! Secondo la nostra ipotesi, la pressione avrebbe creato una situazione contraddittoria: i salariati non oserebbero più mettersi in malattia per paura di essere accusati di abusare di un loro diritto, ma anche per solidarietà, cioè per non sovraccaricare di lavoro i colleghi a causa della loro assenza. Ho pure preso conoscenza di postini che lavorano durante la pausa-pranzo obbligatoria e non remunerata, al fine di « guadagnare » del tempo e non essere in ritardo.
Coloro che rinunciano o rinviano una visita medica reagiscono in modo individuale e passivo per far fronte alla pressione dell’attività lavorativa. Non vi sono state delle reazioni collettive?
La maggior parte dei salariati prova un sentimento di rassegnazione molto forte perché la riorganizzazione del lavoro non è in alcun modo negoziabile per i vertici aziendali. I sindacati « ufficiali » del settore (Sindacato della comunicazione e Transfair) non svolgono alcuna attività sindacale sui luoghi di lavoro e sono estranei alle difficoltà dei lavoratori. Di conseguenza, la conflittualità non si manifesta più tra gli impiegati e la direzione, ma tende a prendere una forma « orizzontale » opponendo i colleghi stessi. Nonostante ciò, l’inchiesta ha messo in luce l’esistenza di certe forme collettive di lotta e di resistenza, come ad esempio una petizione indirizzata alla direzione del centro di distribuzione postale. I lavoratori avevano chiesto l’allontanamento di un quadro dirigente che esercitava della pressione sugli impiegati assenti per malattia o dispensati di certe attività per ragioni mediche. La direzione ha tenuto conto di questa rivendicazione e la situazione è migliorata considerevolmente. Questo esempio mostra, da un lato, che la conflittualità è sempre presente pur faticando a trovare un espressione collettiva e, dall’altro, che i lavoratori desiderano essere presi in considerazione nelle scelte aziendali. Purtroppo una petizione non è sufficiente per vincere il sentimento rassegnazione molto diffuso tra il personale; per questo ci vorranno altre lotte sociali, che coinvolgano sia i lavoratori che i cittadini, come lo è stato nel 2008, in occasione dello sciopero alle Officine di Bellinzona.
Quali sono le politiche messe in atto dalla Posta per diminuire il rischio di malattie o infortuni?
I programmi della Posta sono molto vasti, ragion per cui ne citerò uno solo : il metodo per la gestione delle assenze « pro presenza ». L’obiettivo consiste a diminuire il tasso di assenza del personale identificando precocemente una degradazione della salute e incitando gli impiegati assenti a ritornare al più presto al lavoro. La messa in atto di « pro presenza » è caratterizzata da tre fasi distinte. La prima concerne la selezione dei candidati poiché ad essi è richiesto di « auto valutare » l’idoneità della propria salute rispetto al posto di lavoro, al fine di diminuire l’assunzione di personale la cui salute potrebbe deteriorarsi col tempo. La seconda fase si applica invece alla rapporto di lavoro ordinario. I quadri sono incaricati di valutare l’evoluzione della salute dei salariati cercando di identificare precocemente un rischio più elevato di malattia o infortunio. Infine, la terza fase entra in vigore nel caso di ripetute assenze nel periodo che segue l’assunzione oppure se durante il rapporto di lavoro ordinario le assenze superano i 30 giorni o avvengono quattro volte in un anno (durante gli ultimi due). In tal caso la salute dell’impiegato è oggetto di un’analisi approfondita, caratterizzata da diversi colloqui, al termine della quale i suoi superiori prendono una decisione in merito alla possibilità di reintegrarlo o meno nell’azienda, attribuendogli dei compiti meno logoranti per la salute.
Da quali criteri dipende il reintegro dell’impiegato con un lavoro meno logorante?
I criteri sono tre. Innanzitutto vi è la stato di salute. Purtroppo la condizione fisica e psichica non permettono sempre la possibilità di svolgere un’attività lavorativa. Poi vi è l’atteggiamento dell’impiegato rispetto al lavoro e all’azienda: sono presi in considerazione la fedeltà al datore di lavoro, la qualità del servizio e la collaborazione con i superiori durante il periodo di assenza. Infine, la disponibilità di posti di lavoro meno logoranti costituiscono il terzo criterio. Un esito negativo implica la cessazione dei rapporti di lavoro ed eventualmente il trasferimento della pratica all’assicurazione invalidità, la quale – è bene ricordarlo – ha ridotto notevolmente la possibilità di ottenere una rendita in seguito alla quinta revisione della legge competente.
Il programma « pro presenza » comporta la violazione del segreto medico?
La Posta non chiede all’impiegato di rinunciare al segreto medico. La terza fase del programma prevede tuttavia che un attestato medico d’idoneità sia stabilito dal medico curante. Questa prassi non è conforme alla Guida al trattamento dei dati personali nell’ambito del lavoro pubblicata dall’Incaricato federale per la protezione dei dati e della trasparenza, secondo la quale un attestato medico d’idoneità può essere richiesto unicamente per la selezione dei candidati a un posto di lavoro. La possibilità d’identificare i salariati la cui la salute rischia di deteriorarsi è molto discutibile; infatti, ciò li espone a una politica del personale che consiste a selezionare i lavoratori in miglior salute al fine di diminuire le assenze. Il segreto medico sarebbe quindi oggetto di una violazione che potremmo definire « indiretta » (il medico non comunica le informazioni confidategli dal paziente, ma le utilizza per stabilire un attestato d’idoneità) e « limitata » (il medico non trasmette le cartelle cliniche né comunica le diagnosi).
Gli impiegati trovano di buon auspicio questo programma? Ne condividono la procedura?
I dati dell’inchiesta non permettono di valutare oggettivamente l’opinione degli impiegati. Ho avuto modo di conoscere sia degli esiti positivi che negativi. Ci sono tuttavia dei salariati che hanno risentito delle pressioni da parte del datore di lavoro durante la convalescenza o che hanno dovuto accettare a malincuore le modalità del proprio reintegro nell’azienda. Non bisogna infatti dimenticare che il lavoro salariato si caratterizza dall’assoggettamento del prestatore di lavoro nei confronti del datore di lavoro, poiché è quest’ultimo a determinare le modalità, i tempi di esecuzione del lavoro e la perennità del contratto stipulato dalle parti.
Qual è l’utilità del programma « pro presenza » per la prevenzione delle malattie e degli infortuni
L’identificazione precoce di possibili malattie o infortuni può essere efficace se le condizioni all’origine di una degradazione della salute sono analizzate approfonditamente. Ciò non è tuttavia il caso. L’obiettivo principale del programma « pro presenza » è quello di rendere più competitiva l’azienda riducendo i costi dovuti alle assenze del personale. La Relazione di bilancio 2008 della Posta spiega infatti che « la diminuzione degli infortuni professionali e non professionali e il conseguente calo dei costi ad essi legati possono costituire un vantaggio competitivo di rilievo in un mercato liberalizzato. » (p. 94) Di conseguenza, la prevenzione attuata dal programma « pro presenza » potrebbe comportare l’allontanamento dei salariati la cui salute si è degradata, cioè di coloro che hanno un rischio più elevato di essere assenti in futuro.
Come dovrebbe agire la Posta per tener conto delle condizioni che possono degradare la salute degli impiegati?
Alla direzione dell’azienda ho proposto due misure. La prima consiste a conoscere meglio le situazioni favorevoli e sfavorevoli per la salute, tenendo conto dell’esperienza professionale dei salariati, per migliorare sia le condizioni di lavoro che la formazione degli impiegati in materia di sicurezza. Una collaborazione con degli istituti universitari darebbe un quadro istituzionale, scientifico e indipendente a un gruppo di lavoro composto da ricercatori universitari, medici, ergonomi e lavoratori riconosciuti dai colleghi per le loro conoscenze professionali. La seconda ha invece come obiettivo di permettere ai salariati di agire sulle condizioni di lavoro che possono nuocere alla salute. In ogni centro di distribuzione postale si dovrebbe istituire una commissione d’igiene e di sicurezza sul lavoro composta unicamente da delegati dal personale eletti democraticamente. Ad essa si potrebbe attribuire il compito di sensibilizzare i colleghi sui rischi che comporta il lavoro, di verificare il rispetto delle leggi inerenti alla salute sul lavoro, di stabilire le circostanze di malattie e infortuni a carattere professionale, e di collaborare con delle inchieste sulle condizioni di lavoro o con dei programmi di formazione destinati a un miglioramento della sicurezza. La protezione contro il licenziamento dei delegati del personale è tuttavia indispensabile per evitare qualsiasi ritorsione da parte del datore di lavoro.
Come ha reagito la direzione dell’azienda alle tue critiche e alle tue proposte?
La restituzione dei risultati alla direzione e a una delegazione d’impiegati è prevista durante le prossime settimane, ma le prime reazioni sono già state positive. Ciò dimostra che vi è una presa di coscienza dell’importanza delle condizioni di lavoro nella prevenzione di malattie e infortuni. Sarebbe però molto auspicabile che questa preoccupazione sia pure al centro del dibattito politico previsto sulla Revisione totale della legge sulle poste e sul Disegno di legge federale sulla prevenzione e sulla promozione della salute. Per far sì che il lavoro generi salute anziché sofferenze, è necessario introdurre sia delle misure che permettano ai lavoratori di agire sulle condizioni di lavoro che delle protezioni sociali che riducano la messa in concorrenza dei salariati.
Solidarietà – Anno 11 – N° 1 – 14 gennaio 2010
L’inchiesta è stata effettuata presso un centro di distribuzione postale della svizzera romanda, nel quale lavorano all’incirca 340 impiegati, e si interessa soprattutto al lavoro dei postini. Lo scopo era di conoscere l’impatto delle ristrutturazioni sulla salute dei salariati e l’efficacia delle misure messe in atto dall’ex regia federale alfine di ridurre il rischio di malattie e incidenti. Le analisi si basano su cinque interviste effettuate con degli impiegati e su un questionario al quale hanno risposto 189 persone. La direzione della Posta ha collaborato alla ricerca rispettando tuttavia il suo carattere indipendente e universitario.
La quarta indagine europea sulle condizioni di lavoro (effettuata nel 2007) ha messo in evidenza un aumento generalizzato dell’intensità del lavoro. Lo stesso fenomeno è stato riscontrato nella tua inchiesta?
I dati empirici dell’inchiesta non sono certo sufficienti per trarre delle conclusioni in merito all’evoluzione dell’intensità del lavoro alla Posta negli ultimi anni, ma già di per se il lavoro dei postini è logorante: lo stress, la rapidità dei gesti, il peso da sollevare e l’esposizione alle intemperie sono il loro pane quotidiano. Secondo una testimonianza, il carico di lavoro sarebbe quasi raddoppiato rispetto agli anni 1980, cioè prima delle ristrutturazioni che daranno luogo alla dissoluzione delle PTT in due imprese distinte (La Poste e Swisscom) alla fine del 1997. Il lavoro sembra tuttavia più intenso rispetto ai dati della quarta indagine europea sulle condizioni di lavoro: il ritmo di lavoro è considerato rapido dal 46,4% dei postini, insostenibile dal 6,6% e normale solo per il 45,3%; mentre a livello europeo è situata al 26% la proporzione dei salariati che dichiara di lavorare a dei ritmi elevati per la maggior parte del tempo (dati del 2005). Nella distribuzione postale, il lavoro è stato organizzato in flusso teso secondo i principi del toyotismo applicati nell’industria a partire dagli anni 1970. Nessuna scorta è ammessa nella produzione ed ogni attività è cronometrata minuziosamente da uno scanner al fine di diminuire e di comprimere i tempi « improduttivi ». Il corriere deve essere distribuito imperativamente secondo i termini prescritti e ciò indipendentemente sia dalla forza lavoro disponibile che dagli imprevisti che possono turbare l’organizzazione. Il lavoro è dunque organizzato in modo tale da esercitare una pressione constante ed elevata sugli impiegati.
I ritmi di lavoro molto elevati comportano dei rischi per la salute degli impiegati della Posta?
Un ritmo di lavoro elevato non comporta necessariamente dei rischi più elevati per la salute perché i lavoratori possono sviluppare delle strategie di adattamento per sopportare un carico di lavoro più elevato. In determinate circostanze l’aumento dello stress può essere addirittura più stimolante. I rischi per la salute aumentano tuttavia per coloro che non riescono più a padroneggiare l’attività lavorativa in seguito alla riorganizzazione del lavoro. Ciò sembra essere il caso alla Posta. Infatti, se fino a qualche anno fa ad ogni fattorino era attribuito un percorso ben preciso per la distribuzione del corriere, ora ciascuno di loro deve prendere a carico una moltitudine di percorsi. Non lavorando più quotidianamente sullo stesso territorio, i postini faticano a sviluppare una conoscenza approfondita dei giri di distribuzione ai quali sono attribuiti e a organizzare efficacemente la loro attività lavorativa.
Come reagiscono i salariati all’aumento dei ritmi di lavoro?
Una pressione eccessiva può degradare la qualità del lavoro, nella misura in cui gli impiegati non avrebbero né il tempo né i mezzi per lavorare correttamente. Nella nostra inchiesta è stato riscontrato che questo fenomeno è presente. Il 24% del personale afferma aver già dovuto rinviare o trascurare la realizzazione di certi comptiti per finire a tempo il lavoro, mentre è molto diffuso il sentimento di non riuscire a soddisfare in modo conveniente l’utenza. Vi è pure un altro fenomeno molto preoccupante: il 64,8% dei salariati afferma aver già rinunciato (« passerà ») o rinviato (« aspetto ancora due o tre giorni ») una visita medica per paura di nuocere all’attività dei colleghi per via della loro assenza. Non si tratta di casi isolati perché al 29,8% degli intervistati è successo una volta durante gli ultimi dodici mesi, al 26,4% due volte e al 36,4% almeno tre volte! Secondo la nostra ipotesi, la pressione avrebbe creato una situazione contraddittoria: i salariati non oserebbero più mettersi in malattia per paura di essere accusati di abusare di un loro diritto, ma anche per solidarietà, cioè per non sovraccaricare di lavoro i colleghi a causa della loro assenza. Ho pure preso conoscenza di postini che lavorano durante la pausa-pranzo obbligatoria e non remunerata, al fine di « guadagnare » del tempo e non essere in ritardo.
Coloro che rinunciano o rinviano una visita medica reagiscono in modo individuale e passivo per far fronte alla pressione dell’attività lavorativa. Non vi sono state delle reazioni collettive?
La maggior parte dei salariati prova un sentimento di rassegnazione molto forte perché la riorganizzazione del lavoro non è in alcun modo negoziabile per i vertici aziendali. I sindacati « ufficiali » del settore (Sindacato della comunicazione e Transfair) non svolgono alcuna attività sindacale sui luoghi di lavoro e sono estranei alle difficoltà dei lavoratori. Di conseguenza, la conflittualità non si manifesta più tra gli impiegati e la direzione, ma tende a prendere una forma « orizzontale » opponendo i colleghi stessi. Nonostante ciò, l’inchiesta ha messo in luce l’esistenza di certe forme collettive di lotta e di resistenza, come ad esempio una petizione indirizzata alla direzione del centro di distribuzione postale. I lavoratori avevano chiesto l’allontanamento di un quadro dirigente che esercitava della pressione sugli impiegati assenti per malattia o dispensati di certe attività per ragioni mediche. La direzione ha tenuto conto di questa rivendicazione e la situazione è migliorata considerevolmente. Questo esempio mostra, da un lato, che la conflittualità è sempre presente pur faticando a trovare un espressione collettiva e, dall’altro, che i lavoratori desiderano essere presi in considerazione nelle scelte aziendali. Purtroppo una petizione non è sufficiente per vincere il sentimento rassegnazione molto diffuso tra il personale; per questo ci vorranno altre lotte sociali, che coinvolgano sia i lavoratori che i cittadini, come lo è stato nel 2008, in occasione dello sciopero alle Officine di Bellinzona.
Quali sono le politiche messe in atto dalla Posta per diminuire il rischio di malattie o infortuni?
I programmi della Posta sono molto vasti, ragion per cui ne citerò uno solo : il metodo per la gestione delle assenze « pro presenza ». L’obiettivo consiste a diminuire il tasso di assenza del personale identificando precocemente una degradazione della salute e incitando gli impiegati assenti a ritornare al più presto al lavoro. La messa in atto di « pro presenza » è caratterizzata da tre fasi distinte. La prima concerne la selezione dei candidati poiché ad essi è richiesto di « auto valutare » l’idoneità della propria salute rispetto al posto di lavoro, al fine di diminuire l’assunzione di personale la cui salute potrebbe deteriorarsi col tempo. La seconda fase si applica invece alla rapporto di lavoro ordinario. I quadri sono incaricati di valutare l’evoluzione della salute dei salariati cercando di identificare precocemente un rischio più elevato di malattia o infortunio. Infine, la terza fase entra in vigore nel caso di ripetute assenze nel periodo che segue l’assunzione oppure se durante il rapporto di lavoro ordinario le assenze superano i 30 giorni o avvengono quattro volte in un anno (durante gli ultimi due). In tal caso la salute dell’impiegato è oggetto di un’analisi approfondita, caratterizzata da diversi colloqui, al termine della quale i suoi superiori prendono una decisione in merito alla possibilità di reintegrarlo o meno nell’azienda, attribuendogli dei compiti meno logoranti per la salute.
Da quali criteri dipende il reintegro dell’impiegato con un lavoro meno logorante?
I criteri sono tre. Innanzitutto vi è la stato di salute. Purtroppo la condizione fisica e psichica non permettono sempre la possibilità di svolgere un’attività lavorativa. Poi vi è l’atteggiamento dell’impiegato rispetto al lavoro e all’azienda: sono presi in considerazione la fedeltà al datore di lavoro, la qualità del servizio e la collaborazione con i superiori durante il periodo di assenza. Infine, la disponibilità di posti di lavoro meno logoranti costituiscono il terzo criterio. Un esito negativo implica la cessazione dei rapporti di lavoro ed eventualmente il trasferimento della pratica all’assicurazione invalidità, la quale – è bene ricordarlo – ha ridotto notevolmente la possibilità di ottenere una rendita in seguito alla quinta revisione della legge competente.
Il programma « pro presenza » comporta la violazione del segreto medico?
La Posta non chiede all’impiegato di rinunciare al segreto medico. La terza fase del programma prevede tuttavia che un attestato medico d’idoneità sia stabilito dal medico curante. Questa prassi non è conforme alla Guida al trattamento dei dati personali nell’ambito del lavoro pubblicata dall’Incaricato federale per la protezione dei dati e della trasparenza, secondo la quale un attestato medico d’idoneità può essere richiesto unicamente per la selezione dei candidati a un posto di lavoro. La possibilità d’identificare i salariati la cui la salute rischia di deteriorarsi è molto discutibile; infatti, ciò li espone a una politica del personale che consiste a selezionare i lavoratori in miglior salute al fine di diminuire le assenze. Il segreto medico sarebbe quindi oggetto di una violazione che potremmo definire « indiretta » (il medico non comunica le informazioni confidategli dal paziente, ma le utilizza per stabilire un attestato d’idoneità) e « limitata » (il medico non trasmette le cartelle cliniche né comunica le diagnosi).
Gli impiegati trovano di buon auspicio questo programma? Ne condividono la procedura?
I dati dell’inchiesta non permettono di valutare oggettivamente l’opinione degli impiegati. Ho avuto modo di conoscere sia degli esiti positivi che negativi. Ci sono tuttavia dei salariati che hanno risentito delle pressioni da parte del datore di lavoro durante la convalescenza o che hanno dovuto accettare a malincuore le modalità del proprio reintegro nell’azienda. Non bisogna infatti dimenticare che il lavoro salariato si caratterizza dall’assoggettamento del prestatore di lavoro nei confronti del datore di lavoro, poiché è quest’ultimo a determinare le modalità, i tempi di esecuzione del lavoro e la perennità del contratto stipulato dalle parti.
Qual è l’utilità del programma « pro presenza » per la prevenzione delle malattie e degli infortuni
L’identificazione precoce di possibili malattie o infortuni può essere efficace se le condizioni all’origine di una degradazione della salute sono analizzate approfonditamente. Ciò non è tuttavia il caso. L’obiettivo principale del programma « pro presenza » è quello di rendere più competitiva l’azienda riducendo i costi dovuti alle assenze del personale. La Relazione di bilancio 2008 della Posta spiega infatti che « la diminuzione degli infortuni professionali e non professionali e il conseguente calo dei costi ad essi legati possono costituire un vantaggio competitivo di rilievo in un mercato liberalizzato. » (p. 94) Di conseguenza, la prevenzione attuata dal programma « pro presenza » potrebbe comportare l’allontanamento dei salariati la cui salute si è degradata, cioè di coloro che hanno un rischio più elevato di essere assenti in futuro.
Come dovrebbe agire la Posta per tener conto delle condizioni che possono degradare la salute degli impiegati?
Alla direzione dell’azienda ho proposto due misure. La prima consiste a conoscere meglio le situazioni favorevoli e sfavorevoli per la salute, tenendo conto dell’esperienza professionale dei salariati, per migliorare sia le condizioni di lavoro che la formazione degli impiegati in materia di sicurezza. Una collaborazione con degli istituti universitari darebbe un quadro istituzionale, scientifico e indipendente a un gruppo di lavoro composto da ricercatori universitari, medici, ergonomi e lavoratori riconosciuti dai colleghi per le loro conoscenze professionali. La seconda ha invece come obiettivo di permettere ai salariati di agire sulle condizioni di lavoro che possono nuocere alla salute. In ogni centro di distribuzione postale si dovrebbe istituire una commissione d’igiene e di sicurezza sul lavoro composta unicamente da delegati dal personale eletti democraticamente. Ad essa si potrebbe attribuire il compito di sensibilizzare i colleghi sui rischi che comporta il lavoro, di verificare il rispetto delle leggi inerenti alla salute sul lavoro, di stabilire le circostanze di malattie e infortuni a carattere professionale, e di collaborare con delle inchieste sulle condizioni di lavoro o con dei programmi di formazione destinati a un miglioramento della sicurezza. La protezione contro il licenziamento dei delegati del personale è tuttavia indispensabile per evitare qualsiasi ritorsione da parte del datore di lavoro.
Come ha reagito la direzione dell’azienda alle tue critiche e alle tue proposte?
La restituzione dei risultati alla direzione e a una delegazione d’impiegati è prevista durante le prossime settimane, ma le prime reazioni sono già state positive. Ciò dimostra che vi è una presa di coscienza dell’importanza delle condizioni di lavoro nella prevenzione di malattie e infortuni. Sarebbe però molto auspicabile che questa preoccupazione sia pure al centro del dibattito politico previsto sulla Revisione totale della legge sulle poste e sul Disegno di legge federale sulla prevenzione e sulla promozione della salute. Per far sì che il lavoro generi salute anziché sofferenze, è necessario introdurre sia delle misure che permettano ai lavoratori di agire sulle condizioni di lavoro che delle protezioni sociali che riducano la messa in concorrenza dei salariati.
Solidarietà – Anno 11 – N° 1 – 14 gennaio 2010